La Storia

Dal suo continuo tormento, dall’ultima delusione d’amore, Baldassarre trae ispirazione per il suo nuovo interesse; così, non ripudiata la pittura che continuerà a far parte di quest’insieme di sensazioni, ma integrata in un unico progetto, si forma come scultore. Se prima trasferiva nelle sue tele quel disagio interiore provocato dalle incomprensioni di una cultura “limitata”, ora trapianta nella pietra leccese le emozioni che un uomo sente nella continua ricerca dell’Amore.

A tal punto, dal 1999, si dedica con anima e corpo al compimento di una dimora dedicata all’Amore, un’opera unica che racchiude in sé l’Essenza dell’Arte: dalla pittura alla scultura, ai mosaici. Questo rifugio artistico e spirituale è immerso nella bellezza della natura che lo rende perso nel tempo. Sito a Cardigliano (Specchia), nella provincia di Lecce, la “Residenza dell’Amore”, comprende, infatti, una “Casa-Museo” con stanze colme di dipinti e sculture a tema, giardini ricchi di numerosi gruppi scultorei che raccontano gli amori epocali tragicamente vissuti, figure che abbracciano realtà e fantasia con una tale facilità tanto da non percepirne la divergenza.

La natura s’intreccia alla pietra e ne diventa parte integrante e fondamentale, dalla natura nasce ogni ispirazione e a lei ritorna: i corpi nudi, tra realtà e mito, tra sarcasmo e austerità. Una visione dell’amore personale, un amore sessualmente definito, senza mezzi termini; scene esplicative di passioni momentanee, di tradimenti, d’epoche, d’elisir, di favole…un amore che va oltre i limiti di tempo, di spazio e d’azione. È un luogo dove i sentimenti sono contrastanti, l’istinto prevale sulla ragione e tutto si fonde in azioni spontanee, che profumano d’ardore.

Attraversando i giardini, i gruppi scultorei raccontano di vicende d’amore diverse tra loro, vicende reali e fantastiche: “Otello e Desdemona” in cui emerge la visione di un amore egoista che porterà alla morte; “Romeo e Giulietta” e la loro passione fugace; l’amore del poeta per la sua donna alata e irraggiungibile in “Dante e Beatrice”. Le statue fanno da contorno alla figura centrale del giardino, la grande “A” d’amore, dell’essenza di tutte le cose: è l’Amore, infatti, il motore immobile di tutte le creazioni, e qui l’artista ne dedica un monumento dedicato alla linfa della vita e dell’arte.

La visione di tutto il complesso è singolare dal “Ponte dell’Amore”, da esso si scorge tutta la Residenza, i giardini, le sculture, la “Casa-Museo”, il monumento alla “A” maiuscola… si percepiscono mille emozioni insieme, come se si fosse distanti, per un breve attimo, dalla realtà cruda del mondo. È come se dopo aver visitato questa dimora artistica, se n’esca rasserenati, come da un luogo sacro; è come se gli animi agitati si placassero alla visione di una natura madre e “matrigna” in cui tutto ritorna e da cui tutto parte. Sebbene una occulta visione dell’amore, Baldassarre ambienta le sue creazioni nel suo paesaggio naturale integrando, non quell’uomo che poteva “scheggiarlo”, ma le emozioni di un uomo rapito dal sentimento.

Nei suoi dipinti emergono luci ed ombre, il sole della campagna è clandestino, i personaggi sono quasi inesistenti; in questa Dimora tutto è illuminato dalla luce del Pianeta e quella luce rende le figure vive, in movimento. I raggi n’accarezzano i corpi nudi degli amanti, corpi costretti in un abbraccio eterno come quelli di “Paolo e Francesca”, le figure in amore delle quali si scorgono emozioni differenti nei giorni tra il dolce rumore e il continuo fluire dell’acqua. È come se tutto scorresse e non s’arrestasse mai.

Brina Baldassarre, 2003.

La Casa Museo

STANZA dell’ANGELO

La prima stanza detta “Stanza dell’Angelo” dallo stupendo cherubo che vola sul suo cielo, una figura particolare tanto perché reca in mano una A maiuscola, la “A” d’amore intorno al quale sentimento ruota tutta la creazione, quanto perché -questa figura- si trova in un momento d’indecisione; non si sa, infatti, quali siano le sue vere origini: se frutto della volontà divina o della fantasia umana indicata dalla corda a cui è legato, un filo sinonimo di creazione.

Il mosaico che decora la pavimentazione rappresenta un albero d’ulivo, un arbusto secolare che rappresenta l’ARTE e alle sue radici un periodo formato da due frasi: una perfettamente in italiano “IO VIVO NEI SECOLI” terminata da tre punti di sospensione che, di fatto, non definiscono nulla ma che danno un senso d’infinito e d’indefinito; la frase si riferisce all’artista, colui che è in grado di capire e di vivere l’arte e che si fa dio nel momento in cui crea. E solo chi saggia il sapore dell’arte potrà abbracciare l’infinito.

La seconda frase “E TIA MANCU UNU” non rinnega le origini, è scritta in dialetto Ruffanese con un tono spregiativo per chi legge e si riferisce soprattutto a chi non è in grado di comprendere il sentimento dell’ARTE. Un ospite inatteso e poco gradito, un fauno che scruta dai crolli delle pareti della casa, particolari sono le sue fattezze, il volto infatti ricorda moltissimo quello dell’artista.

Un’altra figura mitologica, una Venere inebriata dal vino che si abbandona alla piacevolezza della vita, ma che non pare molto contenta dell’inaspettata visita dell’essere. Figure fantastiche e paesaggio naturale si fondono perfettamente, lo sfondo che abbraccia la stanza raffigura il paese Cardigliano, e questo panorama, dai tratti rocciosi ed erbosi ci fa gustare il sapore di questa infinitezza terrestre prima e celeste poi. Un’infinitezza dorata di sterpi selvatici come simbolo della sofferenza che ha catturato i cuori della gente vissuta lì. I piedi del tavolo al centro, hanno forma fallica e la loro quantità non è casuale, pitagoricamente il numero 5 crea una figura chiusa e perfetta come perfezione è la forma circolare del tavolo.

STANZA della REGINA

La figura centrale intorno alla quale ruota il sentimento dell’artista è la donna: la Regina, quindi rappresentata con una corona in testa; dipinta sulla parete, mostra sfacciata i suoi seni. Sul pavimento della stanza sei figure falliche che non indicano il numero bensì il verbo essere, costituiranno la frase “Sei la Regina”. La donna è la Regina, colei che ha lo scettro in pugno e il potere di decidere sul destino dell’uomo: lo farà diventare un angelo, innalzandolo fino al settimo cielo e un demone, facendolo sprofondare negli imi fondali della terra.

STANZA dell’AMORE

La netta divisione fra Etere e Terra. In alto i cieli concentrici del Paradiso, firmamenti che l’uomo potrà raggiungere grazie ad un cammino ascensionale con il consenso della sua donna.

A terra una fossa profonda nella quale una figura è a testa in giù, è l’uomo che non avrà più quel rispetto, dapprima meritato dalla donna che ama. Sulle pareti le opere scultoree del maestro, natura e figure umane s’intrecciano armoniosamente componendo la testiera del talamo.

Esseri fantastici nella loro creazione: un fauno con un diadema fallico sulla fronte  vicino al quale posano falchi e civette: fauna del luogo; una “falsa donna pudica” che cerca di coprirsi mentre dal basso, tre uomini la corteggiano e sono pronti ad amarla; la donna porta sul capo un nido dal quale ondeggiano membri virili, ha sulle gambe un gatto; più in là, un serpente che avventa il frutto proibito; una donna che guarda alla sua verginità, il suo organo sessuale contraddistinto da un giglio simbolo di purezza; delle figure in amore, una donna che volge le spalle e le volge anche al suo uomo, è l’unica donna attratta dalla bellezza, niente è importante per lei, il suo uomo è capovolto, soffre, come sofferente è tutto il suo corpo.

Ai piedi del talamo rappresentate VITA e MORTE, l’uomo che regge sul suo dorso le sorti del mondo, una donna che, cadendo, si strappa il cuore dal petto, un’altra che dà alla luce una creatura.

Tutto è controllato dalla guardia del corpo: la civettuola che posa sul sofà ai cui piedi s’aggroviglia una serpe, un uomo che ha il pensiero della sua donna fissato nella mente. Poi le grandi mani che “abbracciano l’arte” dall’esterno, la tartaruga simbolo di moderazione come consiglio per coloro che s’accingono a perseguire il cammino d’amore; l’adoratrice che venera l’uomo come immagine divina …ed è proprio quell’uomo che, prima divinizzato, diverrà un topo in fuga dalla serpe che vorrà privarlo del suo battito, un essere ormai impazzito in cerca di una tana sconosciuta.

Brina Baldassarre, 2002.

Scultura

"Monumento alla 'A' maiuscola"
Pietra leccese
"Altarino dell'amore"
Pietra leccese
"Rospo"
Pietra leccese
"Autoritratto"
Pietra leccese
"Segregata dalla sua verginità"
Pietra leccese
"Donna con paraocchi"
Pietra leccese
"7 spose per 7 fratelli"
Pietra leccese
"Altarino dell'amore"
Pietra leccese
"Il giardino dei miracoli"
Pietra leccese
"Paolo e Francesca"
Pietra leccese
"Otello e Desdemona"
Pietra leccese
"Giulietta e Romeo"
Pietra leccese
"Dante e Beatrice"
Pietra leccese
"Cyrano e Rossana, Isotta e Tristano"
Pietra leccese
"Paolo e Francesca"
Pietra leccese